TRA IL DIRE E IL FARE

Per una volta, non apro con un’immagine, come è ormai diventata quasi una consuetudine, ma con una citazione, arrivata fresca fresca durante la notte (insomma… “fresca” non è proprio il vocabolo adatto alla scorsa nottata, ma non sottilizziamo). A inviarla è il fido 001, agente e corrispondete della M.I.A.O. (per chi ancora non lo sapesse, acronimo di Mannaro Intelligence Agency for Opera) dall’area tedesca, su cui, tra molte altre cose, devo fare affidamento per le traduzioni, poiché, come sapete, il vostro Mannaro ha con quella lingua, purtroppo, poca o nulla dimestichezza.

Ora, tra le diverse cose che ho imparato e/o mutuato dall’amico Mozart2006 (anche lui in area tedesca, guarda caso) c’è un principio fondamentale, che si riassume pressappoco così: “Se c’è bisogno, nel libretto di sala, di spiegazioni sulla regia, significa che c’è qualcosa che non va”.

Avranno un bel dire, protestare, strepitare (e qualche volta insultare) gli accaniti fautori del “non potete giudicare se non avete visto”, ma il fatto è che quando è chiaro, esplicito, dichiarato ed affermato che la storia è stata reinventata, adattata alle idee e magari – come in questo caso, e lo vedremo – alle esperienze personali del regista, anche andando “a vedere”, con mente aperta e buona volontà, vedremmo un lavoro teatrale che – bello o brutto che sia – ha ben poco in comune con l’opera originale… se non la musica, che viene (ed a parere del vostro Mannaro e di molti di voi, viene abusivamente) sovrapposta ad una situazione diversa da quella per cui è stata scritta.


Di fronte a immagini come questa, non ho bisogno d’altro per rendermi conto che quella che sto vedendo, qualunque cosa sia, non è l’Aida di Giuseppe Verdi e Antonio Ghislanzoni. E se – come ho letto da qualche parte – qualche fautore del “nuovo a tutti i costi”, del “nuovo è bello, vecchio è brutto e noioso”, ironizza che c’è chi vorrebbe Aida con i costumi di Mariette, a me vien fatto di rispondere che, quanto meno, Mariette, che era un archeologo, sapeva molto bene che i sacerdoti egizi non avevano le barbe da pope ortodosso, e Radames non portava una giacca con gli alamari.

Ma assai più istruttive delle immagini sono le dichiarazioni della regista e della sua collaboratrice, la “drammaturga” (Ghislanzoni, sapete, non basta più…), perché su quelle non c’è questione né di gusti, né di interpretazioni. E’ ciò che hanno detto, ciò che pensano, ciò su cui hanno basato la loro personale, distorta, stravolta versione di Aida.

Perché, come ben sapete, oggi per essere à la page, per non sentirsi “antiquati”, e “disimpegnati” bisogna buttare tutto in politica e rifarsi all’attualità, e che ci azzecchi o no non ha alcuna importanza. Quindi, a sentire la nostra “drammaturga” (scusate, la definizione è ufficiale, ma le virgolette mi vengono spontanee) Bettina Auer, il tema di Aida è quello della guerra (e se credevate che fosse la storia di un amore infelice ed impossibile, peggio per voi). Conflitti “tra stati vicini, tra élite di potere o potentati, non infrequentemente approvati o sostenuti addirittura dai leader religiosi dei vari paesi”.

Ma non basta. In questo contesto non c’è spazio “per piani individuali di vita, idee diverse di moralità o addirittura sentimenti. Invece, l’uomo è preso tra le ruote dei vari interessi di coloro che sono al potere. Questa è una delle storie raccontate nell’opera di Verdi da Aida, Radamès e Amneris, nonché dai loro padri reali e spirituali, il re di Egitto e il sommo sacerdote Amris “. (Veramente come padre ci sarebbe anche Amonasro e  il nome del sommo sacerdote è Ramfis, ma questo diamolo per un refuso nell’articolo che troverete integralmente qui :

http://www.artribune.com/arti-performative/teatro-danza/2017/08/a-salisburgo-laida-di-giuseppe-verdi-by-shirin-neshat-le-immagini-dellopera-diretta-da-muti/ . )

Il “concept” si chiarisce ancora meglio ascoltando le dichiarazioni della regista – la quale, peraltro, ha in numerose interviste affermato che in vita sua aveva visto pochissime opere liriche e prima di essere chiamata a Salisburgo non sapeva nulla di Aida… informazione che suscita immediatamente la domanda (destinata a restare senza risposta): “Ma allora perché caspita l’hanno chiamata?”.

Questo, tuttavia, non le ha impedito, sempre a suo dire, di “identificarsi” con Aida. Probabilmente non ha afferrato il concetto che Aida non è né una profuga, né un’esiliata, ma una schiava (“trasse in ceppi le vergini rapite”) e poi un ostaggio (“almeno arra di pace e securtà fra noi resti col padre Aida”). Ma certo, per sapere questi dettagli bisogna aver voglia di studiarsi il libretto…

Analogamente, gli Etiopi sono presentati come profughi (infatti pare siano soprattutto donne e bambini), mentre ovviamente sono per lo più soldati prigionieri di guerra (tanto è vero che “fatti audaci dal perdono correranno all’armi ancor”. V. sopra per il commento). Differenza in verità non esattamente sottile… o così sembra al vostro pignolo Mannaro.

I prigionieri etiopi

Ma quello che è ancora più interessante è l’intervista alla regista, Shirin Neshat (cineasta e fotografa iraniana impegnata nella denuncia della condizione della donna e di altre problematiche del suo paese), all’interno del servizio della TV Austriaca ORF.

Ho chiesto a 001 il sacrificio di tradurre integralmente le sue parole (compito non facile, poiché la regista parla inglese, e la traduzione tedesca è sovrapposta, così si finisce per non capire bene né l’una, né l’altra). Le trovo assolutamente illuminanti… a rovescio, poiché rendono del tutto evidente che quando si parla di Aida la regista brancola nel buio più assoluto.

Riporto testualmente quanto scritto dal mio fedele traduttore (grazie!):

Dunque, la Neshat dice che per la gente del Medio Oriente l’Aida è un’opera problematica che falsifica la storia. Essa rappresenta gli antichi Egizi e gli Etiopi come popoli barbarici ed inferiori. Viene creata un’immagine negativa. [Qui parla il commentatore, dicendo che le intenzioni di Verdi erano all’opposto (e meno male, Nota di Mannaro)]. Lei continua: la mia interpretazione è sovversiva, io voglio mettere la cultura occidentale in dialogo con quella orientale, chiarire che anche il mondo mussulmano è un mondo colto, che non viene sempre e soltanto visto come quello barbaro che è più violento della cultura dei selvaggi [“chissà se hanno tradotto bene!!!”, chiosa qui il mio traduttore], perché anche la cultura occidentale ha gran colpa per le molte crudeltà della storia che è pervasa di violenza.

Che cosa ci azzecchino con Aida il mondo musulmano, quello occidentale e le loro culture, dovreste dirmelo voi, se lo avete capito. A me sembrano solo farneticazioni a vuoto, completamente autoreferenziali. Mi pare chiaro che, come molti suoi colleghi registi, anche la signora Neshat è tutta presa dalla contemplazione del proprio ombelico. Tanto è vero che, en passant, dice di Aida e della propria identificazione con la protagonista una cosa che mi ha fatto sussultare: “So come Aida deve sentirsi. Subisce un processo, si rende conto di poter continuare, di poter nuovamente innamorarsi, di adattarsi alle circostanze”.

“Nuovamente innamorarsi”??? Chi ha detto alla signora Neshat che Aida era già stata innamorata, al suo paese, prima di conoscere Radames? Questa è palesemente un’ennesima invenzione… ma a me, piuttosto, sembra tanto un lapsus freudiano, un proiettare un’esperienza propria (di cui ovviamente non so né voglio sapere nulla) su una situazione con cui, ancora una volta, non ci azzecca niente di niente.

Un’ultima osservazione non posso esimermi di fare sul ruolo in questa pasticciata versione di Aida del Maestro Riccardo Muti. Ho visto e sentito molti amici esultare per alcune dichiarazioni riportate in passato dalla stampa, in cui il Maestro criticava le regie che stravolgono le opere, e anzi dichiarava che non ne avrebbe più dirette per non entrare in conflitto con i registi. Spero che mi darete atto che non mi sono mai lasciato incantare, che ho sempre sostenuto che se davvero un personaggio della sua rilevanza avesse voluto combattere la perversa tendenza a consentire ai registi di stravolgere le opere, avrebbe potuto alzare ben altrimenti la voce. Adesso lo troviamo a dirigere questa Aida. E mi astengo da ulteriori commenti, poiché credo che il mio pensiero risulti già abbastanza chiaro.

Bene, per oggi basta. Vedremo sabato sera (streaming adiuvando…) il risultato sul palcoscenico. In questo momento a me interessava il “concept”, per conoscere il quale non c’è affatto bisogno di aver visto. Ma quando avrò visto, vi racconterò qualcosa, e per coloro che eventualmente non riusciranno a vedere aggiungerò, spero, anche qualche interessante immagine…

Cari saluti a tutti dal vostro

Mannaro

© Foto Monika Rittershaus

Articolo precedente
Articolo successivo
Lascia un commento

2 commenti

  1. Stefano Cozzi

     /  10/08/2017

    Che vergogna pure per Muti! Dal maestro proprio non me lo sarei aspettato. Va be’ tengo famiglia e devo tira’ a campa’ … Tutti complici! Non c’è scampo per l’amata Opera Lirica!

    Piace a 1 persona

    Rispondi
    • E’ sempre rischioso, secondo me, fidarsi dei potenti… Alla fine è facile che si sostengano fra loro. Scampo, non so se c’è. Io ci spero, altrimenti non mi affannerei tanto a miagolare, nel mio piccolo. Insistiamo (dice Scarpia…). Chissà? Peggio non può fare.

      "Mi piace"

      Rispondi

Lascia un commento