LA SINDROME DEL 10 DICEMBRE

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(Davvero bellissimo – a gusto del vostro Mannaro – questo giardino di peschi e ciliegi in fiore. )

Ma guarda… Sapete che l’avevo proprio dimenticato? E devo ringraziare Facebook (anziché sbuffare, come spesso mi succede in questi casi) che oggi mi ha riproposto un post dello scorso anno. Scopro, infatti che anche nel 2015 avevo rimandato fino al 10 dicembre il commento sullo spettacolo inaugurale del Teatro alla Scala. Evidentemente, anche in modo non programmato e quasi inconsapevole, il vostro Mannaro ha bisogno, dopo questi eventi, di una pausa di riflessione.

Una differenza c’è, tuttavia, rispetto all’anno scorso. Stavolta lo spettacolo non l’ho visto solo grazie alla diretta RAI, ma anche proprio dal vivo, in teatro, sia pure con un certo anticipo, poiché si trattava dell’antegenerale del 29 novembre.

In quell’occasione mi sono limitato, sulla mia pagina Facebook, a qualche breve cenno, perché, insomma, una prova, anche pubblica, è una prova, e sarebbe stato scorretto dare giudizi. Ma, poiché, come ben sapete, l’argomento preferito del vostro Mannaro è la regia (e di conseguenza, la scenografia e tutto quanto ad esse connesso), già allora avevo anticipato un breve commento che riporto qui per conoscenza di chi non l’avesse visto in quella sede: “Scenografia più che adeguata, in alcuni momenti davvero molto bella, e comunque ‘tradizionale’, nel senso che si riconosce benissimo a prima vista che stiamo vedendo la Madama Butterfly di Puccini. Lo stesso si può dire per i costumi, anche se non mi è piaciuto un granché l’obi nuziale… Ma insomma, sono gusti !”

Il confronto fra le due esperienze mi ha riconfermato nell’opinione che l’opera va vista in teatro. Ma mi ha anche portato a concludere, per l’ennesima volta, che la colpa non è della televisione in quanto tale, ma dei registi televisivi incompetenti (incompetenti di lirica, s’intende) che scambiano l’opera per una fiction e si ostinano a riprendere i cantanti troppo da vicino. Ma, cari registi televisivi, se fosse una fiction, Cio-cio-san avrebbe quindici anni, e Pinkerton sarebbe un bel giovanotto. Nell’opera, i cantanti sono quelli che sono e hanno l’età che hanno. Per di più, ovviamente stanno cantando, e solo alcuni molto bravi sono capaci di adeguare anche l’espressione del viso ai sentimenti che devono esprimere (qualcuno, nello specifico caso, non riusciva ad adeguarci neppure il canto, ma questo è un altro discorso). Ergo, a vederli in primo piano o anche solo a mezzo busto lo spettacolo non ci guadagna per niente… anzi, è proprio il contrario.

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(Bello, decisamente, non credete? Il bambino giocava con i petali dei fiori, ed era una bella scena, se non fosse stato che è rimasto lì un’eternità, poverino, e alla fine l’idea smetteva di essere originale per diventare inutilmente ripetitiva) 

Che cosa aggiungere? Ormai una bella fetta dei miei lettori avrà visto l’opera, ed il resto probabilmente la vedrà – o rivedrà – nei numerosi passaggi previsti in televisione, quindi ciascuno giudicherà secondo il proprio gusto. La mia personale (cioè, s’intende, gattesca) impressione è stata, complessivamente, che il regista – Alvis Hermanis, di cui abbiamo già visto alla Scala I due foscari la scorsa stagione – si sia sforzato poco. Qualcuno deve avergli raccomandato di non fare vaccate tipo quelle viste nella Giovanna d’Arco del 2015 (ma ovviamente questa è solo una mia ipotesi, non suffragata da alcuna precisa informazione), e lui è andato liscio, proponendo una Butterfly di quelle che io amo definire “riconoscibili”. Non certo, tuttavia, una Butterfly memorabile. Che abbia calcato la mano presentando un Giappone da cartolina illustrata, passi. Al confronto di certe Cio-cio-san che abbiamo visto in calzoncini, T-shirt e calze a rete (bucate) e che vivevano in periferia in una baracca fra i grattacieli, per carità, ben venga anche il Kabuki… se solo Hermanis non avesse fatto come fanno quasi tutti i registi “moderni”, che se hanno un’idea la strizzano come un limone, sfruttandola fino alle estreme conseguenze, ed avesse limitato la gestualità “rituale” al coro. Imporla anche alla protagonista la fa diventare stucchevolmente bamboleggiante, sfiorando spesso il ridicolo senza aggiungere nulla al personaggio.

Poiché stiamo parlando della Scala, che è il “mio” teatro ed al quale voglio bene, per questa volta mi concederò un’eccezionale eccezione e farò un cenno ai cantanti. In considerazione di quello che, a caldo, ho visto riversarsi su Facebook già durante lo spettacolo, non scopro nient’altro che l’acqua calda esprimendo l’opinione che, tranne alcune eccezioni (Suzuki, Goro ed anche Kate, per quel poco che si è sentito) il livello dei protagonisti andava da discreto, e sufficiente, a inascoltabile (mettete voi i nomi…). Quello che ho sentito, comunque, non era un livello da Teatro alla Scala. E qui mi fermo.

O anche no, perché,  in base a quest’ultima considerazione, spenderò ancora una parola sull’operazione fortemente voluta dal Maestro Chailly – e peraltro incorrettamente presentata come prima assoluta mondiale, quando la stessa versione “1904” era andata in scena alla Fenice di Venezia, se non erro nel 1982. Ma, a parte le priorità, penso sia risultato evidente per tutti che se, all’epoca, Puccini ha quasi immediatamente “ritoccato” la sua opera, ha avuto le sue ottime ragioni. La Madama Butterfly come la conosciamo è più stringata, ha più “ritmo” narrativo e maggiore pathos della prima versione, e dobbiamo riconoscenza a Puccini per avercene data una seconda. Riproporre la prima versione poteva avere un intento informativo, anche utile ed interessante, ma allora lo spettacolo – in particolare alla Scala – avrebbe dovuto avere il sostegno di un cast di eccellenza, altrimenti tutto rischiava di affogare nella noia, come in effetti è avvenuto.

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(Chiudo con un’immagine complessiva della scena fissa a pannelli scorrevoli, che devo dire non mi ha fatto impazzire dall’entusiasmo, ma ci stava. Come ho detto, di fronte a certi scempi che si vedono in giro, bisogna apprezzare ed essere anche contenti)

E con questo ho concluso. Prometto che d’ora in avanti farò sempre del mio meglio per non mettere piede fuori dal mio argomento… ma stavolta ci voleva.

Buon finesettimana a tutti dal vostro

Mannaro

© Foto Marco Brescia e Rudy Amisano