PAROLE E MUSICA

Eccomi felicemente tornato al mio cuscino dopo una breve vacanza… che ha coinciso anche con un proficuo lavoro “mannaro”, poiché ho conosciuto di persona un paio di amici finora solo “virtuali” e ho posto le basi di un progetto davvero interessante, di cui sentirete presto parlare.

Ripreso, quindi, posto sul cuscino ed acceso il computer, trovo sulla pagina Facebook del Teatro del Giglio di Lucca l’immagine e la citazione che mi sono subito affrettato a condividere sulla mia propria pagina, ma che mi sembra utile ed importante commentare anche qui, dove posso dilungarmi un po’ di più su quello che è uno dei miei argomenti favoriti, e cioè il legame indissolubile, nell’opera lirica, fra il libretto e la musica.

Eccone qui un esempio… Si capisce a prima vista, no?,  che queste sono Amelia (quella mora) e Ulrica (quella bionda) nel duetto del primo atto del Ballo in maschera di Verdi (sono un filo sarcastico, lo avevate intuito?)

Come tutti sappiamo anche troppo bene, oggi il mondo del teatro lirico è affollato di registi che, a parole, rendono omaggio alla musica e ne millantano il totale e reverente “rispetto”… per poi sovrapporla a viva forza a scene che, quando va bene, si limitano a discorstarsi dal libretto originale come epoca, ambientazione e via dicendo. Oppure, ancora peggio, inventano una storia di loro fantasia, più o meno vagamente ispirata all’originale, ed il risultato è che non solo i cantanti che dovrebbero agire in un certo tempo e luogo sono piazzati in tutt’altri, ma, molto spesso, dicono una cosa e invece ne fanno una del tutto diversa.

Un esempio a caso… Entra in scena il conte di Luna (Trovatore, Royal Opera House 2016, regia di David Bösch, ripreso ora a Francoforte)

Credo che tutti abbiamo sperimentato quello spiacevole senso di “dissociazione” che viene dal sentire una cosa e vederne un’altra, la frustrazione di dover far collimare l'”audio” col “video”.

Ma nello stravolgimento registico delle opere c’è un fatto molto più grave, anche se non altrettanto immediatamente evidente a tutti. Ed è quello così efficacemente evidenziato dalla frase di Puccini sopra riportata.

Come due gemelli siamesi, la musica ed il libretto sono non solo legati, ma compenetrati, e non possono essere separati senza grave o anche mortale rischio per entrambi. E non solo in Puccini, ovviamente, ma in qualunque musicista che abbia scritto basandosi su un libretto, raccontando una storia, caratterizzando dei personaggi… fino ad arrivare all’estremo di Wagner, il cui ideale era non solo creare testo e musica, ma mettere personalmente in scena le sue opere (ciò che oggi non impedisce che sia uno degli autori più bistrattati, sfregiati e mistificati dal “teatro di regia”, approfittando del fatto che ovviamente non può più ribellarsi.)

Lo so che li avete già visti, i toponi, ma non resisto alla tentazione di farveli rivedere (Lohengrin, Bayreuth a partire dal 2010, ma ripreso più volte fino al 2015, regia di Hans Neuenfels)

Non bisognerebbe mai dimenticare che la regia non è solo, e non tanto nelle indicazioni del libretto, spesso assai scarne, ed a volte neppure essenziali. La regia è prima di tutto e soprattutto nella musica, e sovrapporre visivamente alla musica una scena che non è nata assieme alla musica stessa significa fondamentalmente tralasciarne del tutto il rispetto. Allo stesso modo in cui è mancare di rispetto alla musica “drammatizzare” un brano di un’opera scritto per essere esclusivamente musicale… ciò che viene fatto sempre più spesso, anche dai migliori e più legati alla cosiddetta “tradizione”, Zeffirelli compreso.

La sinfonia della Norma, l’intermezzo della Manon Lescaut, la Meditazione della Thaïs, il preludio del terzo atto della Traviata… Potrei continuare per un’intera pagina. Quante, quante musiche meravigliose che l’autore ha scritto per trasmettere al pubblico l’essenza profonda della storia che sta raccontando, oggi vengono snaturate da scene che, nel migliore dei casi, vorrebbero “illustrare” al pubblico qualcosa che la musica è destinata, invece, a comunicare nel modo più immediato e diretto – vorrei dire “da anima ad anima”, e di cui, al contrario, il regista si appropria imponendo la SUA interpretazione, la SUA sensibilità, interponendosi artificiosamente (ma vorrei dire anche “abusivamente”… e quindi lo dico ahahah) fra il musicista e l’ascoltatore e privando quest’ultimo della possibilità di affidarsi, come sarebbe suo diritto, alle proprie.

A quanti fortunati riesce, oggi, di ascoltare in teatro un’ouverture a sipario chiuso? Quella che dovrebbe essere la regola è diventata un evento da segnare nel calendario… E questa è solo la punta dell’iceberg di una moda perversa che, sostanzialmente, il vostro Mannaro vede come un’USURPAZIONE, da parte dei registi – con la complicità, purtroppo, di tanti direttori d’orchestra – dei sacrosanti diritti dei musicisti e del pubblico.

Ma via… sono appena tornato e non mi va di essere troppo serio. Perciò voglio concludere l’argomento con un paio di immagini che, spero, almeno vi faranno ridere, anche per la presenza di quell’elemento base – ormai – della scenografia d’opera, che è il letto d’ospedale. Ma c’è anche il brindisi formato karaoke (se guardate bene vedrete il microfono, lui lo regge e lei canta)… E quindi, se vi vien da ridere, ridete… sia pure con un po’ di amaro in bocca. Si tratta della Traviata attualmente in scena a Klagenfurt, regia di Richard Brunel.

 

E qui sotto, ovviaìmente, Parigi, o cara

 

Per oggi, mi pare che basti… anche se avevo messo da parte diverse altre belle (!) immagini da farvi vedere per illustrarvi il mio pensiero. Ma sono sicuro che queste vi basteranno e avanzeranno, perciò spero che gradirete ancora una volta i più cari saluti dal vostro recuperato

Mannaro

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