SE NON VEDI NON CI CREDI

(Contrariamente alla mia abitudine, che è prevalentemente quella di darvi la prima immagine senza didascalia, in funzione emblematica, stavolta ho il dovere di spiegarvi che questa è l’immagine che gli spettatori vedono quando si apre il sipario, senza musica per circa novanta secondi. Dopo l’inizio questo signore, che sarebbe Angelotti, rimane lì col braccio in altro per altri cinque minuti circa – e lo compatisco sinceramente – cantando tutte le sue battute (compresa: “Ecco la chiave, ed ecco la Cappella!”) restando perfettamente immobile.

Hanno ragione.

Sì, miei cari amici e visitatori, sono giunto alla conclusione che quanti ci attaccano (a volte ci aggrediscono perfino… verbalmente, s’intende) sostenendo che non possiamo giudicare la regia di un’opera da una o al massimo alcune immagini, e che bisogna vedere per poter parlare, hanno perfettamente ragione. Almeno in questo caso. Perché se non avessi visto da cima a fondo la Tosca messa in scena ad Oslo da Calixto Bieito (e fortunatamente trasmessa in streaming), non avrei mai potuto capire fino in fondo a che livelli di aberrazione, di follia, di brutalità, di pura e semplice DEMENZA, si potesse giungere nello stravolgere un’opera lirica.

E’ per questo che – per quanto abbia alla fine deciso di raccontarvi qualcosa di questo inqualificabile spettacolo – la mia raccomandazione è SOPRATTUTTO, se appena ne avete la possibilità, di ANDARE A VEDERE CON I VOSTRI OCCHI. Solo così potrete cogliere nella loro interezza tutti i numerosi livelli a cui questa regia insensata distrugge il capolavoro di Puccini.

Il primo livello, il primo passo verso gli inferi, è cambiare completamente la natura e il carattere dei personaggi. Cavaradossi e Tosca non sono più l’uno un noto pittore e frequentatore di salotti eleganti – per quanto goda di una certa fama di “volterriano” – l’altra una cantante famosa, forse di costumi un po’ liberi, ma fondamentalmente religiosa, di animo buono e generoso e tutta dedita alla sua arte. No, sono due poveracci, quasi due straccioni, poco più che artisti di strada. Perfino il sacrestano non è un sacrestano, ma un barbone che se ne va in giro carico di sacchi di plastica e altri fagotti pieni delle sue carabattole, tra cui un quadretto della Madonna.

(Questi sono Cavaradossi e Tosca “Innanzi la Madonna”. Fin qui si contengono, ma dopo…)

(… si lasciano parecchio andare, approfittando del fatto che è tanto buona…)

A proposito, neppure la Madonna è la Madonna, la Maddalena non è la Maddalena e l’Attavanti non è l’Attavanti, ma tutte e tre sono rappresentate (o così capisco io… magari sbagliando) da un’unica figurante, una povera donna di mezz’età, secca e grinzosa, coperta, all’inizio, da una specie di straccio biancastro dalla testa alle ginocchia, e successivamente nuda come un verme e frustata selvaggiamente da Scarpia durante il Te Deum.

(Questo, che ci crediate o no, è Cavaradossi che canta “Recondita armonia” in braccio alla Madonna/Attavanti/Maddalena. Citazione michelangiolesca? Non lo so, e comunque non ci azzeccherebbe un bel niente)

 

(E questo è Scarpia che, per motivi suoi, a noi ignoti, percuote la poveretta con una frusta fatta con pezzi di nastro adesivo ricavati dalla distruzione dell'”installazione” su cui vi informerò più sotto

Scarpia, poi, a detta del regista, dovrebbe rievocare la figura di Donald Trump, ma a parte la parrucca gialla non è visibile alcun ulteriore riferimento, e quindi non abbiamo altro a cui appigliarci che la parola del regista medesimo.

(Ed ecco Scarpia che qui – ancora una volta, che ci crediate o no – asserisce di aver trovato un ventaglio, mentre ha in mano lo straccio che copriva la Madonna – o chi fosse)

La storia, per grandi linee, potrebbe considerarsi conservata (tranne, naturalmente la conclusione, come vedremo), ma la realtà dell’azione si discosta talmente dalle parole pronunciate dai protagonisti (e che sono quelle del libretto, s’intende), che il tutto si traduce in una confusione di cui è difficile trovare il bandolo, soprattutto se si conosce l’opera.

Si comincia con le piccole incongruenze. “Ecco la chiave ed ecco la cappella”, quando non c’è né chiave, né cappella; “E sempre lava”, e non si lava nulla, non essendoci neppure i pennelli; “Gente là dentro”, senza andare a vedere; “Di me beffarda ride” mentre la figurante è del tutto impassibile; “Portate con voi le vesti femminili”, ma non ci sono vesti di sorta; “Entriamo”, senza muovere un passo; “Una preda preziosa, un ventaglio”, ma non c’è alcun ventaglio, solo lo straccio che copre il corpo nudo della figurante, che Scarpa le strappa via; “Il suo stemma”, e neanche l’ombra di uno stemma… e dove mai potrebbe essere se non c’è il ventaglio?; “Si ritrovò questo paniere”, e come avrete ormai capito, niente paniere… E potrei andare avanti così per un intero volume solo per il primo atto. Quanto al secondo (e solo a titolo di esempio), “Cavalier vi piaccia accomodarvi” mentre non c’è manco una sedia per sbaglio e Cavaradossi finisce per sedersi per terra. O, meglio ancora, “Sedete qui e favelliamo”, senza sedia, e, ovviamente, senza vin di Spagna, e anche Tosca si adatterà a sedersi per terra; per finire (si fa per dire, perché l’elenco potrebbe continuare ad libitum) con “E’ svenuto” mentre Cavaradossi, per quanto acciaccato, coperto di sangue, in mutande e con i pantaloni arrotolati attorno alle caviglie, è bello dritto in piedi, a malapena appoggiato a una quinta.

(“Tosca, hai parlato?”)

Ben inteso – e lo preciso giusto per prevenire i sorrisetti di compatimento degli “ammodernatori” – nessuno pretende certo che ogni scena sia la fotocopia del libretto. Ma quando le differenze – anzi, le contraddizioni – diventano la regola, il senso stesso dell’azione va perso, e si finsice per non capirci più niente, nello sforzo continuo di far collimare mentalmente quello che si vede con la Tosca di Puccini.

(Un solo esempio, a caso… Qui lei si sta lamentando “M’hai tutta spettinata”, ma in realtà è stata impacchettata nel nastro adesivo, e così lui dovrà tirare fuori di tasca un taglierino e liberarla…)

Ovviamente, è senz’altro possibile che il regista voglia proprio evitare che lo spettatore operi il collegamento, e che, invece, segua la storia inventata da lui. Ciascuno è libero di inventarsi una storia, ci mancherebbe… Ma in tal caso, dovrebbe per lo meno scrivere un’altra musica e un altro testo, perché “audio” e “video” devono pur accordarsi in qualche modo, in uno spettacolo che pretenda di essere sensato.

(Altro esempio: questo è il momento in cui Scarpia riconosce il ritratto ed esclama: “La marchesa Attavanti!”. Fate un po’ voi… Sullo sfondo vedete anche, in parte, “l’installazione” che viene costruita e distrutta ad ogni replica, e che ha richiesto, pare, oltre 20.000 rotoli di nastro adesivo, che cantanti e coristi devono continuamente scavalcare, impigliandosi e inciampando)

Come se non bastasse, vengono aggiunti dei personaggi. A un certo punto, all’inizio del secondo atto, compare una donna ben vestita, che Scarpia bacia più volte in modo estremamente intimo (assai lungi da un bacio di scena come se ne vedono spesso in teatro). Questa donna è, più o meno, sempre presente, e va anche a dare un’occhiata al corpo di Scarpia, dopo che Tosca lo ha ucciso, accompagnata da un ragazzino (sorge il sospetto che siano moglie e figlio di Scarpia, ma potrebbero essere chiunque). Il ragazzino canta l’aria del Pastorello, e poi, con aria di assai allusiva malizia, lecca a lungo un leccalecca (scusate il bisticcio, non ho trovato un sinonimo!) rosso, enorme, a forma di cuore. Dopo di che si accende una sigaretta, tenendosi poi in disparte, seduto in terra (e dove, se no?) durante tutta la scena seguente.

Senza dimenticare i due nani, vestiti come i ragazzini del coro (una specie di divisa da scuola o da collegio) e che compaiono fin dal primo atto, e di cui non si capisce assolutamente la funzione. Dapprima sembra che aiutino a stendere l’intrico di nastro adesivo bianco che dovrebbe (penso) costituire l’”installazione” artistica di Cavaradossi (il quale, tuttavia, ci lavora pochissimo e lascia fare ai nani, a due tizie vestite da cameriere e a non so chi altro). Però c’entrano anche qualcosa con Scarpia, che palesemente ne concupisce uno (o forse entrambi), accarezzandolo con gesti lascivi che il poverino sembra non gradire affatto.

 

 

(Qui vedete tutti schierati i personaggi del primo atto. A sinistra, Il sagrestano che si allontana con i suoi fagotti, a destra Angelotti che se ne va a nascondersi nella villa col suo cartello, la “madonna” (o quel che sia), le cameriere, i nani. Quello sdraiato in terra è Cavaradossi… e per favore non chiedetemi perché è lì.)

Finalmente, dopo lunghe, insistite, ripetute, scene di sesso (simulato… almeno per stavolta. Sul futuro non garantisco niente) fra Scarpia e Tosca, quest’ultima, standogli sopra a cavalcioni, gli sfila gli occhiali cerchiati di metallo, e glieli conficca in gola. (Tecnicamente ho qualche dubbio che si possa uccidere una persona in questo modo, ma tant’è…). Dopo di che gli sfila il Rolex e il portafoglio, e questa, per come la capisco io, è l’unica scena che, a suo modo, combaci col libretto: “Io già raccolsi oro e gioielli” (infatti come avrebbero potuto fuggire quei due poveri scalcinati, senza un soldo?). Solo che il senso originale, se la memoria non m’inganna, è leggermente diverso.

 

 

Oh, naturalmente, non c’è alcun salvacondotto, non viene scritto nulla, e mentre le chiede la scelta della via da seguire, Scarpia è lungo disteso a braccia aperte sotto Tosca, con tutt’altro per la testa, e non potrebbe scrivere qualcosa neppure volendo. Di conseguenza non si capisce come fa Cavaradossi a intuire che potrebbe essere salvo, visto che non c’è un salvacondotto da leggere. Sarà un caso di telepatia.

Cavaradossi stesso, tutto impacchettato (e sempre in mutande, parrebbe) nel nastro adesivo, non viene fucilato, ma solo truccato da pagliaccio, con una parrucca rossa, e lasciato lì col cartello che all’inizio veniva esibito da Angelotti. Ah, a proposito, in precedenza Spoletta afferma che “Angelotti al nostro giungere si uccise”, ma ciò nonostante viene portato in scena vivo e vegeto e qualcuno, (non ho visto bene chi) lo uccide spezzandogli il collo. Poi il cadavere viene avvolto in un foglio di plastica a portato via.

 

(Questa ve l’ho già mostrata in un post precedente, ma vale la pena di rivederla. Cavaradossi impacchettato canta “E lucevan le stelle”)

 

Per concludere, Tosca non si butta da Castel Sant’angelo, resta viva anche lei, ma evidentemente impazzisce… e questo devo dire che in tutta la messa in scena è stato il solo elemento che offrisse un qualche interesse legato all’opera originale. Nella Tosca di Puccini, è evidente a tutti (Cavaradossi compreso) che quella di Tosca di aver salvato l’amante e di poter fuggire con  lui è solo un’illusione, e dall’illusione al delirio il passo può essere breve… se realizzato con gusto e misura. Due cose che, s’intende, non fanno in alcun  modo parte del bagaglio del signor Bieito.

Naturalmente ho parlato (insomma, miagolato, ma ci si intende…) con diverse persone che hanno visto l’opera, e  tutte finiscono per stupirsi che, di fronte a tanta insensatezza, il pubblico applauda. Le capisco, ma sono persuaso che ci siano diverse spiegazioni a questo fenomeno. La prima, e più facile, è semplicemente che il pubblico applaude perché si trova lì e lo spettacolo è finito. La seconda è che la maggior parte dei presenti non conosceva la Tosca e gli va bene qualunque cosa (e questo è brutto assai, perché a poco a poco non ci sarà più nessuno che conosce le opere nella loro versione originale, e tutto finirà lì).

Ma io propendo per una spiegazione ancora peggiore. C’è stato un periodo storico in cui gli spettacoli più “in” erano i combattimenti di gladiatori (e, si dice, perfino i cristiani divorati dalle belve), ed in altri tempi, più vicini a noi, anche la ghigliottina sulla Place de la Révolution aveva i suoi affezionati spettatori, perciò non vedo che ci sia da meravigliarsi più di tanto. Se sollecitati a sufficienza, i peggiori istinti umani non sono difficili da scatenare. E questo, purtroppo,  non solo nel teatro, ma anche nella vita reale. E’ un motivo valido per rovinare un capolavoro sovraccaricandolo di gratuite violenze? Io non lo credo. Se l’intento fosse di denuncia, come affermano alcuni autori e sostenitori di questo tipo di teatro (che per me, invece, è puro e semplice trash), la denuncia potrebbe benissimo (ed anzi, assai meglio) estrinsecarsi in spettacoli originali, nuovi, attuali, e non andando a mettere le mani su capolavori del passato che, in parole semplici, non “ci azzeccano” nulla.

Tosca è Tosca, e non questo inverosimile, sanguinolento pasticcio. Chi la ritiene banale, noiosa, superata, ultra-popolare, può benissimo creare un altro spettacolo di suo gusto e lasciar riposare in pace Puccini, Illica e Giacosa. E noi.

Comunque, ribadisco il mio suggerimento iniziale. Non credete sulla parola né al vostro Mannaro, né a quei critici che hanno visto in questa “cosa” un capolavoro. Andate a vedere con i vostri occhi. Qui:

http://www.theoperaplatform.eu/en/opera/puccini-tosca

Ed ora, cari saluti e buona domenica dal vostro

Mannaro

Le immagini sono fotogrammi pazientemente estrapolati dalla diret

Articolo precedente
Articolo successivo
Lascia un commento

2 commenti

  1. USATO SICURO | Il gatto mannaro
  2. GEMELLI DIVERSI | Il gatto mannaro

Lascia un commento